Goldoni oggi in Francia: Esperienze di traduzione e laboratorio teatrale universitario
Abstract
Carlo Goldoni diffidava della traduzione e affermava nei suoi Mémoires (iii, 10) : « il ne faut pas traduire, il faut créer, il faut imaginer, il faut inventer » (« non si deve tradurre, si deve creare, si deve immaginare, si deve inventare »). Sinceramente coerente con il principio di base di adeguamento al gusto delle nazioni, Goldoni intendeva anche, probabilmente, scoraggiare la produzione di testi maldestri linguisticamente o drammaturgicamente come quelli dei suoi primi traduttori francesi. Per fortuna, le traduzioni dell’opera goldoniana hanno continuato a fare emuli e a concepirsi sempre più come conseguenza di una conoscenza approfondita dell’opera dell’autore e del suo tempo, come dialogo con il poeta drammatico e come risposta ai requisiti del palcoscenico. Nonostante la frustrazione dovuta a perdite non sempre compensate, il lavoro del traduttore integra una parte di ricreazione (come ritorno al processo di creazione e riproposta di quest’ultimo) e si svolge in una prospettiva quasi etica di restituzione della comunicazione immediata e orale propria del teatro. Il vero problema risiede non tanto nella liceità della traduzione quanto nelle scelte necessarie rispetto al teatro dell’altrove e di un altro tempo sui palcoscenici di un hic et nunc di spettatori di una nazione diversa. La questione della traduzione teatrale diventa più complessa e impegnativa quando si lavora a contatto con un pubblico odierno giovanile, con giovani traduttori e con attori nell’ambito della formazione universitaria.1